7.u La primavera di Giovanni Scipioni (dal cap. IV)
Paolo Scipioni, dopo la crisi coniugale che lo aveva
condotto sul punto della separazione, era invece rimasto
con la moglie Eleonora, pur intrecciando relazioni fugaci
quanto frequenti con altre donne. Non era sereno accanto
alla moglie, sebbene la colpa non potesse essere addebitata
a lei. Paolo, al contrario di Giovanni, non trovava
difatti soddisfazione nella professione, né viveva la tempesta
stordente del primo amore, come stava accadendo
ad Antonio; diversamente da Giovanni, inoltre, non si
esponeva nemmeno al rischio di sbagliare e di pentirsi,
perché preferiva non prendere mai decisioni definitive.
Così facendo viveva però nell’accidia e nella plumbea
cortina di finte passioni e inconsistenti certezze. Fino a
quando la moglie Eleonora, stanca di subire quella relazione
inerte, lo cacciò di casa dopo aver scoperto l’ultimo
dei suoi tradimenti e aver trovato la conferma ai suoi sospetti:
quell’uomo non era cambiato rispetto a un anno
prima, quando la loro relazione aveva lasciato udire i
primi sinistri scricchiolii, né sarebbe mai cambiato.
Fu così che un pomeriggio di primavera condomini e
vicini di casa riuscirono a leggere le fasi della parabola
amorosa tra i due litiganti, Eleonora e Paolo, negli oggetti
che presero il volo dalle finestre dell’appartamento per
planare quindi sul marciapiede o appollaiarsi, nel caso
dei capi d’abbigliamento più leggeri, sulla chioma dell’albero
che fiancheggiava il semaforo, che dal canto suo
vide compromessa la visibilità del colore rosso da una
maglietta intima di Paolo, adagiatasi sulla sua sommità
per effetto del lancio rabbioso di Eleonora combinato a
un refolo di vento mosso dalla sorte maliziosa.
Eleonora, indemoniata come non mai, lanciò di tutto:
all’inizio un portafotografia con ritratto degli sposini incorporato
e varie paia di mutande di Paolo, vestigia dell’amore
e dell’intimità perdute, quindi le scatole con i
giochi da tavolo di Paolo e la coppa di bronzo vinta dal
più giovane degli Scipioni nel torneo di bocce dell’anno
prima, emblemi della sua poca serietà e della sua inconcludenza,
nonché, quanto al materiale della coppa, della
sfacciataggine con cui Paolo aveva preso in giro l’ormai
ex compagna. Eleonora, non si sa bene se a causa dello
stato confusionale in cui versava o anche in questo caso
per oculata e simbolica scelta, scagliò contro Paolo, nel
frattempo precipitatosi fuori dall’appartamento e, varcato
il portone del condominio, posizionatosi sul marciapiede
per tentare di recuperare i propri effetti così impietosamente
esposti al pubblico esame, anche degli oggetti
che appartenevano a lei, quali due vestitini da sera,
probabilmente legati al gusto dell’ormai ex marito di cui
mai più avrebbe tenuto conto, e un paio di scarpe con i
tacchi a spillo che una dopo l’altra sfiorarono minacciosamente
il capo di Paolo. Anche se qui, in luogo del significato
simbolico dell’atto, era più facilmente ipotizzabile
un ben più prosaico intento, per così dire, contundente.
Nel frattempo i musetti dei condomini, pavidi e curiosi
come leprotti, respiravano sui vetri delle finestre dei
loro appartamenti, appannandoli per pochi attimi: subito
infatti una mano cancellava l’opacizzante alone, per consentire
di osservare nei minimi dettagli le fasi di quel gustoso
filmino amatoriale. Paolo, che in occasione dei primi
lanci di indumenti aveva reagito con rassegnazione e
imbarazzo, limitandosi a raccogliere quei brandelli di intimità
per sottrarli alla morbosa curiosità che essi avrebbero
presumibilmente innescato in chi si fosse trovato in
strada o avesse spiato dall’alto, cominciò ad un certo
punto a mostrarsi insofferente, a gesticolare in modo
sempre più animato verso Eleonora, che faceva avanti e
indietro dalla finestra del soggiorno all’interno dell’appartamento
per rifornirsi di proiettili da scagliargli contro,
dato che ormai Paolo stazionava sul marciapiede di
fronte al condominio per salvare il salvabile dal pubblico
ludibrio. Impresa ardua e disperata, come dimostrò l’intollerabile
umiliazione provata dal povero Paolo nel raccogliere
i suoi boxer, quelli neri e attillati della grandi occasioni
galanti, dalla scarpa destra del vigile urbano che
passava da quelle parti, su cui erano planati pochi istanti
prima.
“Eleonora, stai esagerando!” urlò in un sussulto di orgoglio
reso rigido e poco spontaneo dalla presenza di
estranei, mentre il patos crescente faceva aumentare l’estensione
dell’alone sui vetri delle finestre dei curiosi e
richiedeva pertanto un più ampio lavoro di gomito per
rimuoverlo e sgombrare la visuale.
“Ah, sono io a esagerare? Iooooo? Ma sparisci, schifoso
che non sei altro!” rispose Eleonora con tono di voce
raddoppiato rispetto a quello di Paolo, per sovrastarlo
anche in quel campo oltre che nel protratto saettar di intimo
maschile e cianfrusaglie varie.
Meglio sarebbe stato abbandonare la posizione e battere
in ritirata, cosa che avrebbe di certo placato la furia
di Eleonora e posto fine a quella sceneggiata, ma Paolo
non se la sentiva di lasciare sul campo anche una sola
traccia di sé e della propria storia personale, che fosse il
diploma liceale o una ben più anonima canottiera. Fu
dunque la perdita di vigore della lanciatrice a porre fine
allo spettacolo pirotecnico, il cui segnale di chiusura fu lo
sbattere violento della finestra del soggiorno di Eleonora,
che rimandava il resto del trasloco a successivi e
meno accalorati frangenti. Anche i vetri delle finestre dei
condomini smisero allora di appannarsi, poiché il fiato
doveva a quel punto essere usato per commentare in
soggiorno o sul pianerottolo, sebbene a voce bassa per
non farsi sentire dall’inquilina del primo piano, l’ormai
ex compagna di quel famoso fedifrago.