7.r Le oscure presenze (dal cap. VI)
Mentre Andrea Bardi non si capacitava del fatto
che la gente, a partire dalla moglie fino ad arrivare a
Simone Caravelli, avesse smarrito il lume della ragione
e brancolasse ormai nel buio della superstizione,
la signora Giovanna, invece, non si capacitava del
fatto che lo scolapasta, quella mattina, si trovasse infilato
per il manico al supporto dello spazzolone per
il water, il quale, a sua volta, mistero ancora più assurdo
e inspiegabile, troneggiava maestoso nel vaso
dei fiori posto al centro del tavolino del salotto.
Cose del genere non accadevano, rifletteva la signora
Giovanna andando parecchio indietro con la
memoria, da quando il figlio Andrea, verso i cinque o
sei anni, aveva sostituito alle rose del vaso da centrotavola,
senza che lei se ne fosse subito accorta,
tante cannucce colorate, le quali, agli occhi del parroco
che era venuto a benedire la casa, dovevano risultare
un ornamento assai bizzarro, a giudicare da
come le fissava mentre teneva l’aspersorio in mano
e invocava la protezione dello Spirito Santo. Certo,
nulla di paragonabile all’imbarazzo provato da
mamma Giovanna pochi mesi dopo, quando la signorina
Dorotea, amica della nonna di Andrea e immacolato
fiore di anni settantacinque, ebbe la ventura
di ammirare il primo paio di mutande maschili della
sua vita grazie alla generosa concessione del nostro
eroe, che, facendola ancora una volta in barba alla
madre, le aveva infilzate al chiodo che sporgeva dalla
parete, ormai orfano della stampa incorniciata dal
titolo “Sant’Antonio resiste alle tentazioni del demonio”.
Né il padre di Andrea, il signor Renato, venuto
a conoscenza della cosa, si era mostrato particolarmente
lusingato dal fatto che le proprie mutande, issate
a orgoglioso vessillo di virilità, fossero state
contemplate con mente presumibilmente turbata
dalla signorina Dorotea, anche se non ebbe il cuore
di punire il figlio per quei significati sconci di cui
l’atto poteva sembrare carico agli occhi degli adulti,
ma non certo a quelli di un piccolo e inconsapevole
burlone.
Adesso, però, a distanza di tanti anni e in una
casa in cui abitava da sola e in cui non aveva mai ricevuto
visite di bambini discoli e irrefrenabili, come
si spiegavano certi bizzarri avvenimenti? Era sonnambula?
Quelle cose le faceva forse lei, alzandosi
nel cuore della notte e girando per l’appartamento a
spostare oggetti? Ripensando alle strane vicende
notturne da lei vissute negli ultimi tempi, cominciava
davvero a temere per la sua sanità mentale.
Eppure… c’era qualcosa che non quadrava! Matta
non si sentiva davvero! E quegli accadimenti dovevano
avere una spiegazione razionale, come un rebus
segnato da qualche parte con inchiostro invisibile
e in attesa di essere scovato e decifrato.
Tuttavia, se avesse avuto la possibilità di scegliere,
quelle strane vicende, comprese quelle notturne,
se le sarebbe portate volentieri con sé per un bel
pezzo pur di evitare l’esperienza inquietante che
visse di lì a poco in una giorno come tanti altri.
Una sera dopo cena, sedutasi come al solito sul
divano per guardare la televisione, la signora Giovanna
finì con l’appisolarsi, serrando a poco a poco
le palpebre, che calarono come una lenta saracinesca
sulle immagini sempre più sfocate che proveni-
vano dal televisore. Trascorsi quei pochi attimi di
sopore, la donna riaprì bruscamente gli occhi, come
spesso succede al risveglio da uno stato di dormiveglia,
vedendo di fronte a sé un’immagine che ne
avrebbe alimentato lo sconcerto nei giorni successivi.
Davanti a lei, circondato da un alone luminoso
che ne delimitava i contorni, c’era infatti una sorta
di angelo, con una candida veste che emanava dalle
pieghe delicati riverberi di oro e argento. Alzò lo
sguardo al volto di quella apparizione e, incredibile
a dirsi, vide che si trattava… del figlio Andrea! Il figlio
era lì di fronte a lei… ed era un angelo!
A un certo punto, dopo pochi attimi, la signora
Giovanna si ritrovò a fissare lo schermo del televisore,
buio come se il venir meno della corrente elettrica
l’avesse fatto spegnere.
Il cuore le salì subito in gola. Cosa aveva visto?
Ma soprattutto… cosa significava? Ebbe il sospetto
di un cattivo presagio e si sentì mancare l’aria, mentre
il cuore pompava sangue come se dovesse farne
scorta nei ventricoli assetati. Dov’era in quel momento
il figlio? Che ora era? Guardò la sveglia appesa
alla parete e, senza nemmeno aver notato la posizione
delle lancette, si lanciò sull’apparecchio telefonico
alla sua destra, che ghermì avidamente e disperatamente.
Ma non ricordava il numero del figlio…
Afferrò l’agenda accanto al telefono, la aprì… Ma non
aveva gli occhiali… Dov’erano gli occhiali? Le erano
caduti in terra, perché nel muovere il piede destro li
aveva urtati. Per fortuna non si erano rotti! Ora doveva
fare il numero del figlio! Presto! Presto! Presto!
“Pronto mamma!” rispose la voce di Andrea all’altro
capo dell’apparecchio “Ciao! Come stai? È successo
qualcosa?”
Giovanna sentì calare l’onda del respiro affanno-
so, che, dalla gola, sembrò subito scendere alla trachea,
aprendo così uno spiraglio più grande al flusso
dell’aria. E si adagiò sullo schienale del divano, assaporando
gli attimi di una seconda nascita.
Ma il turbamento la teneva, ormai, in una tenaglia.
Tanto più che gli strani eventi non erano terminati
lì