7.q Le oscure presenze - Capitolo I
Pur essendo convinto di non essere nato col bernoccolo
degli affari, Andrea Bardi, proprietario di
una fabbrica di bevande zuccherine, aveva davvero
fatto il colpaccio quando, due anni prima, aveva
orientato il settanta per cento della produzione dell’azienda
in chinotto. Sì, perchè il chinotto, cavalcando
l’onda di una di quelle imponderabili leggi che regolano
l’arbitrio della moda, era tornato prepotentemente
in auge, acquisendo lo status di bevanda giovane,
di tendenza e inconfutabilmente chic. Ma come
aveva fatto Andrea Bardi, uno che avrebbe preferito
essere docente, scrittore, magari soltanto correttore
di bozze pur di fare della lingua e della letteratura la
propria professione, ad avere avuto un’intuizione
commerciale così geniale? E se di intuizione non si
trattava, ma piuttosto di attenzione alla propria attività
e ai fermenti sociali che preludono a un cambiamento
dei gusti, dove aveva maturato questa lucida
capacità di analisi, questa lungimiranza economica?
Quale oracolo gli aveva sussurrato all’orecchio che il
chinotto, da parente povero della coca cola, adatto
tutt’al più alle gradinate di uno stadio da calcio degli
anni sessanta, sarebbe divenuto un frequentatore di
locali e di salotti buoni, prezioso ingrediente da
cocktail o bruno dominatore di calici nei quali sarebbe
stato servito con qualche cubetto di ghiaccio e
una fettina di limone? Certo, poteva anche darsi che
si fosse trattato di un potente e assordante colpo di
fortuna, ma noi, con tutta franchezza, preferiamo ac-
codarci al filosofo antico, per il quale non esiste la
fortuna, ma soltanto il momento in cui il talento incontra
l’occasione.
E allora eccoci qua a provare sincera ammirazione
per l’abile mossa strategica di Andrea Bardi, che
aveva in questo modo assicurato a se stesso e alla
propria famiglia quell’agiatezza economica che il di
lui padre, Renato Bardi, dopo decenni di lavoro e di
abnegazione alla causa della ditta da lui fondata,
aveva solo fugacemente intravisto poco prima di
morire.
Un evento straordinario, a considerare le premesse
tutt’altro che rosee, dato che, come abbiamo
già accennato, il nostro eroe non era nato per fare
l’industriale: a quel ruolo infatti si era faticosamente
adattato dopo la morte del signor Renato, cui aveva
dovuto promettere obtorto collo di prendersi cura
dell’attività familiare, onorando così nel contempo
la memoria del caro genitore. Andrea infatti si sarebbe
visto di più nei panni dell’intellettuale, che peraltro,
a un certo punto della sua vita, pensava addirittura
di avere già indosso, dato che il padre per
ben due volte aveva ceduto alla volontà del figlio al
momento di scegliere il ramo di studi da affrontare:
prima il liceo, che tuttavia anche al signor Renato,
diplomato in un istituto commerciale, era andato
bene, perché avrebbe garantito ad Andrea quella
preparazione di base che sarebbe comunque servita,
poi la facoltà di lettere… E lì Andrea si era davvero
stupito della concessione del padre, che però, a ben
vedere, era stato assai astuto nel chiedergli di interessarsi,
magari saltuariamente, anche all’azienda,
affiancando a Dante Alighieri le incombenze di
un‘attività che stava crescendo, per gestire la quale
il signor Renato aveva bisogno di una mano fidata.
Un compromesso che aveva portato Andrea, quasi
inconsapevolmente, a maturare, assieme alla conoscenza
dei grandi scrittori, anche quel grado di esperienza
che, purtroppo per lui, avrebbe contribuito al
ricatto che il padre gli avrebbe fatto in futuro:
“Caro Andrea, figlio mio adorato, io sto morendo,
ma tu hai le capacità per poter prendere il mio posto,
assieme a un livello di preparazione culturale
che io non ho mai avuto e che ti sarà molto utile nelle
pubbliche relazioni e nella vita di società che fa da
corollario al nostro mestiere. Gestisci dunque l’azienda
e non lasciare che il frutto dei miei sforzi
vada alla malora!”
E così… la frittata era fatta! Un capolavoro di frittata!
La prima frittata post mortem della storia, preparata
dallo chef quando ancora era in salute e giunta
a cottura quando questi era ormai emigrato a miglior
vita.
Erano ormai trascorsi cinque anni da quel passaggio
di consegne. Due anni dopo la morte del padre,
Andrea aveva sposato la fidanzata, Donatella
Angelini.
In questo caso, per fortuna, non si era trattato di
una promessa da mantenere, se è vero che l’indole
sognatrice e romantica di Andrea lo aveva portato a
vivere i primi tempi del matrimonio come un momento
di sereno appagamento, che in parte compensava
l’insoddisfazione derivante da un lavoro che
non sentiva suo. Le cose, però, da un anno a questa
parte erano un po’ cambiate. La moglie, donna nel
complesso solare e di carattere aperto, ma anche artista
nell’animo e filosofa da salotto, qualità che la
rendevano particolarmente esposta alle influenze
degli astri e agli sbalzi d’umore, aveva infatti chiuso
il negozio d’antiquariato che aveva gestito fin dai
primi anni del fidanzamento con Andrea e si dedicava
ora a una vita piena di impegni di svariato genere,
che avevano preso inizio da frequentazioni nel
mondo dell’arte e della cultura locali per allargarsi
poi ad altri interessi. Nulla di male, direte voi… Il
marito era benestante e poteva mantenerla senza alcun
problema: che bisogno aveva di lavorare? E poi
la donna acculturata è più affascinante, carismatica,
persino molto più sensuale… Insomma, ciò poteva
tornare anche a vantaggio del povero marito demoralizzato,
che avrebbe avuto così un buon motivo
per tirarsi su e consolarsi della disgrazia di dover
gestire una lucrosa attività appioppatagli per dispetto
da quel genitore prosaico e insensibile…
Eh, dite bene voi… Facile fare del sarcasmo quando
non si conoscono bene le situazioni degli altri! Il
problema, per il nostro Andrea Bardi, nasceva dal
fatto che, dall’ambito culturale, l’inquieta consorte si
era spostata alla pratica delle cosiddette nuove forme
di spiritualità, con tale entusiasmo e convinzione
da farsi promotrice di svariate iniziative, tra le quali
la fondazione di una sorta di circolo teosofico che
aveva come quartier generale la villetta di campagna
ereditata da uno zio.
“Non c’è che dire!” pensava tra sé e sé Andrea,
che definire perplesso e preoccupato sarebbe stato
un eufemismo “Una donna moderna e impegnata,
che fa cose e vede gente… Ma il negozietto di antiquariato,
tanto lindo e carino, proprio no…? Casalinga
come mia madre, con tutte le cose che ci sono da
fare in casa, la villa di campagna e le altre proprietà
da curare… sarebbe proprio un’eresia?”
La nuova condotta di vita di Donatella cominciava
a dare davvero fastidio ad Andrea. Non tanto perché
la moglie, niente lavoro e tutta hobbies e attività
social-ricreative, stesse assumendo i tratti della
“mantenuta”, ma piuttosto perché le sue più recenti
frequentazioni la stavano rendendo sempre più frivola
e astratta e la stavano allontanando dalla realtà
quotidiana. E quindi anche da lui, che, suo malgrado,
ogni mattina scendeva dal letto con un groppo alla
gola per inoltrarsi nell’intricata foresta di incombenze
lavorative da cui si sarebbe volentieri liberato a
energici colpi di machete. E poi… Sì, insomma, l’ascendente
che avevano su di lei queste idee, dalle
quali lui si sentiva lontano anni luce, lo facevano temere
per la stabilità del loro rapporto, che di certo
non avrebbe tratto giovamento da una differenziazione
così radicale dei loro rispettivi mondi. In cuor
suo paventava persino che la moglie potesse invaghirsi
di qualche fannullone della cricca teosofica…
E poi c’era pure quella parola: “fannullone”! Cominciava
a pensare e a parlare come il padre, come
un industrialotto tutto lavoro e denaro, come un
ignorante. Temeva di essere stato irrimediabilmente
cooptato e digerito dall’ambiente che frequentava
ogni giorno, che ormai lo avvinceva a sé con la forza
di un nodo indissolubile. Perché il primo e indubitabile
segnale di cambiamento manifestato da un
uomo è riscontrabile nel suo linguaggio, ad esempio
nel lessico che diventa più ristretto e gergale e manifesta
i tratti di una mentalità diversa, oppure nella
sintassi d’improvviso rachitica e piena di falle come
una nave che sta per andare a fondo. Questo glielo
aveva detto una volta il caro Bernardi, il suo professore
di letteratura italiana ai tempi dell’università.
La presenza nel proprio vocabolario di quella parola,
vale a dire “fannullone”, gli faceva molta paura…
Perché un tempo lo stesso concetto l’avrebbe
espresso in modi diversi, meno moralistici e più pre-
cisi e incisivi; perché quella parola l’aveva sempre
usata suo padre; perché quella parola la usavano
sempre i suoi colleghi industriali, che avvertiva il disperato
bisogno di sentire tanto diversi da lui; perché
sua moglie, la donna con la quale aveva stipulato
un patto di amore e di fiducia, quella parola non la
usava mai.